Qualche giorno fa un gruppetto di sett-ott e nuje ha lasciato a brontolare, per qualche ora, i propri demoni dell’inadempienza (tutti ne abbiamo uno, altro che chiacchiere) e ha varcato la Casilina in cerca di bellezza con cui riempirsi gli occhi (e un po’ di indignazione, sulla scarsa valorizzazione di questa bellezza, con cui riempirsi la testa, ammettiamolo).
E la cittadina di Teano, alle pendici del massiccio montuoso di Roccamonfina, nota ai più per il celeberrimo luogo dell’incontro più disgraziato della storia dell’Unità d’Italia (il primo, appunto), distante solo una trentina di km dalla nostra nuova sede (sulla cui ubicazione, per i più, aleggia ancora il mistero di Fatima, lo sappiamo, ma presto ci sbottoneremo, state quieti), di bellezza ne ha proprio tanta.
Non è dell’incontro “unitario”, il 26 ottobre 1860, di cui ci siamo interessati, né di conseguenza del museo garibaldino (anche perché non avremmo potuto: chiuso nei giorni festivi perché gestito con orari d’ufficio mentre noi, come la stragrande maggioranza dei turisti o girovaghi, ci siamo spostati nel fine settimana). Ci siamo buttati, invece, sull’archeologia: il Museo Archeologico e il Teatro antico, che sono SEMPRE ad ingresso libero, non solo ogni prima domenica del mese (“ogni tanto lo Stato ci fa un regalo” mi ha detto il custode all’ingresso, io ho sorriso, anche se avrei voluto dirgli che lo Stato regali così potrebbe farceli ovunque e sempre, se solo volesse davvero).
Ora, credo che se solo cercassi di parlare in modo divulgativo/polpettonesco del sito e del museo la maggior parte di voi, già scarsi lettori (nel senso di pochi, eh), abbandonerebbe la pagina, quindi, per il bene di tutti, mi limiterò a parlarvi, appellandomi al dio della sintesi che non mi è molto propizio, di quello che proprio non dovreste lasciarvi scappare tra il museo e il teatro dell’antica Teanum Sidicinum; cercate di resistere, suvvia.
#1: Teatro greco o teatro romano?
Dipende. La prima fase del teatro, quella di età repubblicana, 120-100 a.C., ha uno stile che si rifà a quello dei teatri ellenistici di Sicilia e Magna Grecia, con caratteristiche strutturali innovative per il tempo che diventeranno tipiche dei successivi teatri di tipo romano. Di ispirazione greca è anche il fatto che sorga alle spalle della collina, seppur il rapporto tra i due è solo apparente e non propriamente strutturale. Una curiosità in più, in cima alle gradinate del teatro sorgeva un tempio, probabilmente dedicato ad Apollo, che oltre ad essere il dio del sole, come ci suggerisce l’istruttiva ed educativa “Pollon combinaguai”, era soprattutto il dio delle arti.
Qualcuno definisce questo stile “greco-romano“, qualcun altro “italico” o “romano arcaico” ma nessuno ha torto e nessuno ha ragione.
La seconda fase del teatro, invece, quella imperiale, di fine II sec. d. C. (parliamo di Settimio Severo), vede il teatro rivestito di marmi e decori con un gusto prettamente romano, per questo sul sito ci sono grandiosi capitelli e rocchi di colonne proprio come quelli dei Fori imperiali di Roma, tanto per dirne una. È davvero impressionante vederli buttati così, come se un Hulk gigantesco li avesse volutamente ribaltati, anche perché sono ammassati insieme elementi che appartenevano a zone diverse, fateci caso. Questi e l’intonaco rosso, ancora presente su alcuni muri, personalmente, è quello che mi ha colpito di più. In realtà tutte le zone di accesso alle gradinate erano rivestite con intonaci e stucchi, col tempo crollati, lasciando alla luce solo l’ossatura della struttura, anticamente ricoperta da colore, forte e vivo ovunque si potesse posare l’occhio.
#2: Prendo un Loggione e ci faccio un Museo
Partendo dal presupposto che sapessimo già cosa fosse il “Loggione”, ci mandano qui per visitare il museo: in un edificio costruito nella seconda metà del XIV sec. sul tracciato di antiche mura preromane, importantissimo per la vita politica, amministrativa e giudiziaria della città e, in particolar modo nella sala d’armi o scuderia (come suggerisce la seconda denominazione, Cavallerizza), è stato allestito il percorso espositivo del museo.
Diviso in due parti, il percorso ci accompagna dalla semplice vita in villaggio dei Sidicini, popolazione italica di lingua osca, alla successiva urbanizzazione dovuta all’entrata militare di Roma in questi territori, che, dalla metà del quarto secolo a. C. cambiò radicalmente le carte in tavola, non solo dal punto di vista politico ma soprattutto sociale, portando novità, facilitando gli scambi commerciali e le ricchezze. Lo notiamo, per esempio, dalle steli funerarie nella seconda sala che rappresentano personalità importanti tra i Sidicini vestiti alla romana. Una sorta di “globalizzazione” era già in corso: si passa dalla statuaria fittile, quindi in ceramica della prima sala, unica nel suo genere, a quella, seppur di qualche secolo successiva, romanizzata, che potremmo trovare benissimo in ogni altro centro altrettanto importante dell’epoca.
#3: Oltre alle pietre c’è di più
La fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, di un posto come Teano è che ha delle caratteristiche utili a chiunque abbia mire espansionistiche e voglia stare abbastanza in alto da controllare il basso Lazio e l’alta Campania. Proprio ciò ha fatto di questa cittadina un luogo di passaggio incredibile; oltre i Sidicini e Romani; i Longobardi e i monaci benedettini; i feudatari e poi i latifondisti; le famiglie nobili come quelle dei Carafa, dei Marzano, fino al duca di Sermoneta, ognuno ha lasciato un segno del suo passaggio.
Influssi provenienti da ogni dove, storie intrecciate in cui rivedersi e da cui imparare qualcosa di nuovo, solo a pochi passi da casa.
Andateci, non solo perché ogni prima domenica del mese son tutti a farsi i selfie sotto le statue, ma perché ne vale la pena, almeno un po’.
Per info:
http://www.cir.campania.beniculturali.it/luoghi-della-cultura/cavallerizza-teano/museo-archeologico-di-teanum-sidicinum
Clicca qui per sapere come arrivare (ho fatto partire il percorso dall’Anfiteatro di Santa Maria, ma non è quella la nostra sede nuova, sorry):